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Autore: Martino Sacchi
Fonte: Il filo di Arianna della filosofia, vol. II La filosofia moderna, Ledizioni
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Distribuito sotto licenza CC BY NC SA 4.0
Scienza e metafisica nel periodo precritico
Il periodo precritico Il pensiero di Kant è tradizionalmente diviso in due fasi: la prima, che dura fino al 1770, è considerata di preparazione per la fase della maturità, chiamata «periodo critico» dal titolo delle sue opere principali (Critica della ragion pura, Critica della ragion pratica e Critica della facoltà di giudicare). Sin dall’inizio gli interessi sono concentrati su scienza e metafisica.
Per esempio nel 1755 pubblica in forma anonima l’opera Storia universale della natura e del cielo in cui fornisce una nuova importante ipotesi sulla nascita del sistema solare, puramente meccanicistica: il sole e i pianeti sarebbero nati da una nuvola di gas che sotto l’azione dell’attrazione gravitazionale si è condensata fino a formare i corpi celesti. Questa tesi all’epoca appariva eretica poiché escludeva l’intervento divino dalla nascita dell’universo. Solo alla fine del XVIII secolo, cinquant’anni dopo, le stesse idee vennero riprese in modo autonomo dall’astronomo francese Laplace: oggi la teoria è nota come «Kant-Laplace».
Kant interviene poi nel dibattito seguito al terremoto di Lisbona del 1° novembre 1755. Il terremoto avvenne a mezzogiorno e generò effetti devastanti: prima di tutto perché fu violentissimo, poi perché Lisbona, situata sull’estuario del Tago, venne colpita da uno tsunami così potente da risalire il fiume per 200 km, infine perché la catastrofe si verificò quando tutte le cucine erano accese per il pranzo e le fiamme libere provocarono un incendio che bruciò tutto quello che era rimasto in piedi. Sembrava insomma che la natura (quindi Dio stesso) si fosse accanita contro la popolazione, e questo rappresentava un grave problema etico. Kant però cerca di spiegare il terremoto con cause fisiche e materiali e respinge quelle posizioni che interpretano la catastrofe naturale come una punizione divina.
Nel decennio 1760-70 Kant scrive una serie di opere di argomento specificamente metafisico. Kant non sa come conciliare la fisica newtoniana con la metafisica razionalista; si chiede perché la metafisica e in generale la filosofia non sembrano avere il rigore che dovrebbero avere e che ha invece la fisica newtoniana. Nel campo della metafisica sembra impossibile trovare un criterio per stabilire chi ha ragione e chi ha torto, come appare evidente considerando la storia della filosofia degli ultimi due secoli, quando razionalisti ed empiristi sembrano sostenere in modo convincente posizioni opposte praticamente su tutto.
In questi anni Kant legge l’opera di Hume che, con il suo esito scettico, mette in crisi la metafisica tradizionale. Kant riconosce che il filosofo scozzese ha elaborato le obiezioni più forti sia contro la scienza che contro la metafisica e già nel 1770 tenta di rispondergli con la Dissertatio de mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis, che contiene idee importanti sulla concezione dello spazio e del tempo. Per i successivi dieci anni Kant, che con la Dissertatio ha vinto la cattedra all’università di Koenigsberg, non pubblica nulla, ma si dedica soltanto ad uno studio intenso, indispensabile per risolvere le problematiche suscitate dalla lettura di Hume. Finalmente, nel 1781, pubblica la Critica della ragion pura.
La Critica della ragion pura: il programma di ricerca
Sin dalle prime pagine, il testo Critica della ragion pura presenta la cosiddetta «rivoluzione copernicana», che rappresenta la risposta kantiana ai problemi sollevati da Hume: è possibile fondare la scienza come sapere necessario e, insieme, è possibile una metafisica come scienza a condizione di rovesciare completamente i rapporti tra soggetto e oggetto, cioè tra mente e mondo. Nell’Introduzione alla Critica Kant spiega che la filosofia occidentale ha sempre pensato che la conoscenza debba basarsi sull’oggetto e, in qualche modo, limitarsi a rifletterlo.
Usando una celebre metafora legata alla rivoluzione astronomica dal XVI secolo il rapporto tra soggetto e oggetto viene descritto attraverso i rapporti tra Sole e Terra. Il soggetto, rappresentato dal Sole, fino a questo momento ruotava attorno all’oggetto, rappresentato dalla Terra, e ne era dipendente; da adesso, con la rivoluzione introdotta da Kant, l’oggetto deve dipendere dal soggetto, come la Terra con la rivoluzione Copernicana ruota attorno al Sole che si trova al centro del sistema solare. Non è più possibile pensare la conoscenza come semplice ricezione passiva degli impulsi che vengono dall’esterno, ma è necessario ammettere che l’oggetto di cui facciamo esperienza dipenda anche dal soggetto che lo conosce, cioè dalla nostra facoltà conoscitiva. A prima vista questa non sembra una intuizione molto rivoluzionaria perché ricorda il relativismo protagoreo: la conoscenza si basa sul singolo uomo che conosce, e siccome gli uomini sono diversi gli uni dagli altri di conseguenza anche la loro conoscenza sarà diversa. Invece la posizione di Kant è esattamente l’opposto: il sapere umano non è «relativo» al singolo uomo (e quindi non cambia a seconda del soggetto conoscente) ma si basa su una struttura interna, su un modo di funzionare della mente che è uguale in tutti gli uomini e che quindi produce una conoscenza che è necessaria (ossia non può essere diversa da come è) per tutti gli «enti razionali finiti» (come Kant ama chiamare gli uomini). È lo studio di queste strutture interne della mente a rappresentare il contenuto della Critica della Ragion pura.
Lo schema della Critica
La prima mossa di Kant consiste nel riconoscere all’interno del soggetto conoscente una separazione netta tra sensibilità e razionalità: la sensibilità è passiva (riceve gli impulsi dalle cose esterne) la razionalità è attiva (organizza e unifica questi impulsi).
Tuttavia la razionalità a sua volta conosce al suo interno una scissione a seconda della direzione verso la quale si rivolge: può rivolgersi alla sensibilità e in questo caso si chiama intelletto, può agire da sola e in questo caso è detta ragione in senso proprio. Solo quando la razionalità si rivolge ai dati provenienti dalla sensibilità i suoi risultati sono fecondi; quando invece tenta di fare a meno di questi «contenuti empirici» (ossia tenta di costruire una metafisica in quello che secondo Kant è il senso tradizionale del termine) cade in un serie di errori e contraddizioni, come la storia del pensiero dimostra.
Nel soggetto umano conoscente, quindi, si possono riconoscere tre livelli:
- la sensibilità
- l’intelletto
- la ragione propriamente detta
La parte centrale e più importante Critica della ragion pura è strutturata a sua volta secondo questa distinzione in
- estetica (studia la conoscenza sensibile)
- analitica (è dedicata all’intelletto)
- dialettica (critica l’uso della razionalità svincolato dai sensi)
Ciascuna di queste sezioni è definita da Kant «trascendentale». Come avviene spesso, Kant recupera un termine della tradizione filosofica e lo usa cambiandone completamente il significato. I trascendentali nella filosofia scolastica sono i termini che trascendono i limiti delle categorie, cioè sono coestensivi dell’essere, hanno la stessa estensione del concetto di essere. I trascendentali, nella filosofia scolastica, sono i concetti di uno, vero e buono. In realtà, a questi tre ne andrebbero aggiunti altri due, res e aliquid, che vengono però inseriti nella categoria dell’uno. In Kant la parola trascendentale indica le condizioni di possibilità a priori (ossia necessarie e universali) del costituirsi dell’esperienza. Le condizioni trascendentali sono ciò che deve essere ammesso perché sia possibile trovare nell’esperienza qualcosa di necessario e universale, qualcosa di «oggettivo» nel senso nuovo e kantiano del termine.
L’esperienza e la conoscenza fondata
Hume aveva dimostrato che se la conoscenza è semplicemente rispecchiamento dentro di noi del mondo esterno, cioè dell’oggetto, è impossibile fondare (cioè giustificare) la necessità della conoscenza scientifica. Infatti quando si fa scienza si studiano i rapporti causa-effetto necessari ma questi si basano su un semplice belief ossia una «credenza»: non è possibile scorgere la necessità di un fenomeno solo per averlo visto accadere più volte. Per superare Hume e giustificare l’esistenza della conoscenza scientifica è necessario trovare un modo per concepire la conoscenza con caratteristiche di necessità e universalità, da una lato, e di estensibilità, dall’altro. La scienza infatti, a differenza della filosofia, cresce continuamente estendendo (cioè aumentando) le proprie conoscenze. L’unico aspetto della conoscenza umana che si ritrova uguale in tutti gli enti «razionali e finiti» è l’attività conoscitiva stessa, che è essenzialmente una attività di unificazione: la mente umana ha il compito fondamentale di unire le rappresentazioni mentali che sono in noi e che provengono dal mondo esterno (che non incontriamo mai direttamente). Il risultato di questa operazione di unificazione è ciò che noi chiamiamo esperienza.
L’attività svolta dal soggetto in questo processo coincide con «forme» che il soggetto conoscente impone ai «contenuti» provenienti dal mondo esterno: i contenuti, ossia i dati sensibili, ciò che viene offerto dal mondo, cambiano continuamente, ma la forma, cioè l’ordine imposto dalla mente a questi dati perché diventino «esperienza» in senso autentico, resta uguale. Conoscere infatti significa raccogliere i contenuti nell’unità dell’esperienza. Le forme dell’attività conoscitiva senza i contenuti sono vuote, nota Kant, ma i contenuti senza le forme sono ciechi.
Si tenga presente che Kant accetta senza discussioni il postulato illuminista secondo il quale le menti di tutti gli uomini sono uguali: di conseguenza «funzionano» tutte alla stessa maniera e quindi costruiscono con gli impulsi che vengono dal mondo esterno la stessa esperienza. Ciò di cui veramente facciamo esperienza è l’oggetto, che è proprio il risultato dell’opera di unificazione dei dati sensibili realizzata dalla mente; al contrario non incontriamo mai la cosa in sé, perché è ciò che sta nel mondo prima che io lo conosca, o meglio ancora è l’oggetto stesso pensato come è prima che sia entrato nell’orizzonte della mia esperienza.
Ciò che entra a formare l’esperienza viene anche chiamato da Kant fenomeno, ossia ciò che si manifesta, ciò che appare (dal greco phainesthai, apparire). Se, per definizione, noi conosciamo solo l’esperienza, è possibile conoscere qualcosa solo nel momento in cui essa entra a far parte dell’esperienza, cioè diventa un fenomeno. Quando qualcosa entra nell’esperienza, però, per questo solo fatto deve sottostare alle regole o forme del soggetto conoscente: solo a queste condizioni può diventare un oggetto in senso proprio e quindi essere davvero conosciuto. Prima di entrare nell’esperienza la cosa è solo un noumeno, ossia ciò che viene pensato, ma non conosciuto.
Naturalmente Kant è convinto che le cose in sè esistano anche indipendentemente da noi (i filosofi non sono pazzi!) ma ci invita a riflettere sul fatto che, se ammettiamo il postulato dualista (io non conosco l’essere ma solo le rappresentazioni mentali), solamente nel momento in cui gli stimoli provenienti da esse ci raggiungono e le cose in sé diventano fenomeni (ossia si manifestano a noi) noi le conosciamo: ma per il fatto stesso di manifestarsi a noi esse sono sottoposte alle condizioni imposte dal soggetto conoscente. Detto in un altro modo le cose in sé, in tedesco Dingen an sich, esistono, ma sono inconoscibili perché nel momento stesso in cui le conosciamo non sono più «in sé», ma «per noi» e si trasformano da noumeni a fenomeni che, per esistere in quanto tali, devono sottostare a condizioni dettate dal soggetto conoscente stesso.
I livelli di unificazione
L’attività propria del soggetto conoscente è quella di unificare le rappresentazioni mentali, ossia metterle in relazione l’una con l’altra. L’esperienza consiste di rappresentazioni unificate a livelli diversi:
- sensibilità
- intelletto
- ragione
A ciascun livello la mente opera con strumenti trascendentali diversi:
- a livello della sensibilità sono le «intuizioni pure» di spazio e tempo
- a livello dell’intelletto sono ciò che Kant chiama «categorie»
- a livello della ragione sono cià che Kant chiama «idee».